Come si diventa leoni da tastiera e perché.
I social si stanno deteriorando. O meglio, la rete sta deteriorando i social, intesa “rete” come l’insieme degli utenti. Questa considerazione trova conferma da alcune considerazioni di ordine sociologico. Nonché dai comportamenti e ancor più da quanto appare sui post.
Più volte il mondo della cultura ha fatto richiamo alla grande occasione che i social costituiscono per una diffusione del Sapere. Opportunità che viene soffocata da gossip, pettegolezzi vari, banalità e estemporanee dichiarazioni personali. Esternazioni a cui la comunità farebbe volentieri a meno, ma che gratificano l’ego di chi le scrive.
Ultimamente sui vari Facebook, Instagram, Twitter e quant’altro, hanno fatto irruzione anche false notizie (“dottamente” definite dalla rete “fake news”). Sono le imperdonabili bufale messe in circolo per divertimento o per qualche scopo derisorio o politico. In certi casi sono pericolose perché demagogiche e mirate a parlare alla pancia della gente, ma con un linguaggio inappropriato perché tendente decisamente al falso.
Si crea quindi un disorientamento generale che va nella direzione opposta rispetto a quella ideale: si propone l’anti-cultura, e perciò l’ignoranza.
Il “leone da tastiera”
Esiste però anche un altro fattore altrettanto pericoloso. L’utente che si propone sui social con esternazioni personali, quasi sempre lo fa in modo diverso da quanto farebbe vis-à vis con un interlocutore. Nasce così il “leone da tastiera”, ovvero colui che scrive non tanto quanto “sente” dentro, ma quanto vuole che gli altri percepiscano di lui.
Si forma un alter-ego virtuale. E chi avverte questa necessità, nella maggior parte dei casi è uno che nella vita reale non azzarda alzare la voce. Si trasforma quindi in “leone” per ruggire. Forte della protezione che la tastiera e il video gli forniscono.
Il “leone da tastiera” scrive alla pancia della gente, utilizzando quasi sempre un linguaggio violento. E si bea di questa sua identità costruita perché si compiace del giudizio che pensa gli altri diano di lui. A lui la cultura non interessa, se non per fingere di averla. O meglio, per far arrivare alla gente il messaggio che è colto. E non gli importa di non esserlo.
È un gioco psicologico complesso che fotografa in un certo senso la nostra era. Un periodo in cui l’apparenza sta soffocando la realtà, e in cui si mira a costruire un’immagine piuttosto che crescere in concretezza.
Ma cosa accade se il “leone da tastiera” viene colto in flagranza di insufficienza culturale? Semplice, si scomodano le “grandi frasi” della rete, il più delle volte scopiazzate grazie a ricerche su Google tra gli aforismi più diffusi. Insomma la sublimazione della cultura da Cd-Rom. Che corrisponde all’idea stessa di scorciatoia per apparire dotti senza esserlo.
In altre parole il “leone da tastiera” è il nuovo Mister Hyde dei nostri giorni. Con la differenza che il suo alter-ego originale non è il mite e colto Dottor Jekyll, ma un essere bisognoso di considerazione, che cerca con questo sistema di accattonaggio di rivalutare un “io” che riconosce insufficiente, ma che vuole nascondere al prossimo. Segno di un disagio interiore che abbraccia il senso di inferiorità e la ricerca di un ruolo. Passando per i sensi di insicurezza e una povertà di manifestazione di coraggio. Quest’ultima appagata solo apparentemente dalle manifestazioni virtuali.
E… mi raccomando: non ponetevi mai in modo garbatamente contrario a quanto il “leone da tastiera” afferma: vi raggiungerebbe col suo ruggito scritto e profondamente falso, ma di grandissimo effetto mediatico.